Per parlare d'Amore, a modo mio.

sabato 6 aprile 2013

Una novella capace di muovere emozioni incontenibili



Conosco Vlad Sandrini da ventisei anni, eravamo compagni di classe al ginnasio. Scriveva sempre, ricordo. A volte persino durante le ore di greco e latino. Ma andava bene, eh? Mi pare. Io, invece, non scrivevo ma fantasticavo e sognavo, fingendo di seguire le lezioni. E su come andassi a scuola, per ora, preferirei sorvolare.
Il ginnasio è stato bello e posso dire che tra una versione e l’altra, tra interrogazioni, compiti in classe e ansie, mi sono proprio divertita. Ricordo con piacere tutti i miei compagni di allora. La professoressa di greco e latino era molto, molto anziana e sembrava uscita da un altro mondo o, meglio, sembrava essere stata catapultata direttamente dal secolo precedente (sì, sembrava una donna dell’Ottocento), aveva due occhi piccoli piccoli di un azzurro glaciale ma, al contempo, dolcissimo. Mi adorava, invece a me terrorizzava. In classe non poteva volare una mosca, eravamo tutti sull’attenti, sempre. Pretendeva tantissimo ma spiegava anche benissimo. Ed era “giusta”. Una vera professoressa, la Dovesi (voglio scrivere il suo nome perché è fra i pochi professori che abbia incontrato nella mia vita che ricordi con immenso affetto e, poi, perché facendo due conti, credo che ormai non faccia più parte di questo mondo da molto tempo e mi piace ricordarla così. In verità, la ricordo spesso).

La disposizione dei banchi era la solita: tre “quartieri” composti da sei o sette file di due banchi ciascuna. Un quartiere era “occupato” solo da “maschi” che chiacchieravano un po’ troppo. Non so perché, la Prof. decise di interrompere il loro “idillio” mandando nel gruppo anche “la Pfeiffer”, in modo da “sedarli” un po’. Non lo avesse mai fatto. Giuro, in tutto il Liceo, non mi sono mai divertita così tanto come quell’anno. Tenete voi, a bada, un branco di ragazzotti in piena crisi adolescenziale: devi uscire per forza dal tuo guscio, devi “tirarti fuori”, devi farti rispettare.

All’inizio mi guardavano con sospetto, era arrivata la “rompiballe”. Poi, piano piano, hanno cominciato a considerarmi diversamente, a farmi sentire parte integrante di quel microcosmo. C’erano Vlad, Reca, Franco, Mario… E c’ero io. Quante risate ci siamo fatti, quante conversazioni via bigliettini, quante cose ho ascoltato (i discorsi che fanno i maschi a quell’età sono fantastici!), quanti aiuti, quanti consigli, quante versioni passate (loro a me), i commenti sulle altre compagne… Una volta avevo detto: “Dai ragazzi, piantatela! Non potete dire certe cose, ricordatevi che sono una femmina anch’io!”. Non ricordo chi dei quattro mi ha risposto: “Ma tu sei una di noi, è come se fossi un maschio”. All’inizio, davvero, sono rimasta perplessa ma poi ho deciso di prenderlo come un “complimento”.

Vlad, scriveva, scriveva e scriveva. E come, scriveva. Da Dio. Si inventava personaggi (li disegnava anche) e storie fantastiche e, qualcuna, ce la faceva leggere. Ho sempre pensato che lui potesse fare lo scrittore per davvero. Pure io, volevo fare la scrittrice come Jo March di Piccole Donne però non ero mica sicura di sapere scrivere, anche se i miei temi erano sempre buoni.

Ieri sera ho letto questo suo post sulla lettura digitale in cui Vlad ha citato pure “Un cassetto del cuore” descrivendolo “capace di muovere emozioni incontenibili”. Primo, sono felice perché detto da uno che la scrittura ce l’ha dentro non ha prezzo, secondo perché per quanto mi riguarda uno scrittore è colui che riesce a emozionarmi, terzo perché mi piace il fatto che a giudicarlo tale sia un uomo (quando pensavo fosse un libro che potesse piacere solo alle donne) e quarto, perché mi è piaciuto tantissimo leggere “Indipendente” di fianco al mio nome. Sì, dopo avere “salutato” il mio “vecchio” editore e acquisito tutti i diritti del mio primo libro, faccio adesso parte del “mondo degli Indipendenti”, e ne sono fiera. Non oso scrivere “scrittori indipendenti” perché mi fa, ancora, troppo effetto considerarmi una “scrittrice”, che non sono mica sicura di esserlo anche se ci provo.








2 commenti:

  1. Scrivevo soprattutto baggianate surreali, ma quello bravo a disegnare era Reca :-) Io negli anni ho copiato il suo stile e dopo la scuola ho fatto qualche striscia di un fumetto surreale con personaggi punk/metallari più disadattati delle Sturmtruppen. Naufragato, per vari motivi.
    Parlando di cose serie: sulla figura dello scrittore, quella che mi ha dato le idee e le prese di consapevolezza più convincenti è la Goldberg nel suo manuale 'Scrivere zen' (che ho letto solo di recente, nono stante sia dell'86). Non è un manuale per principianti: chi origlia e sta iniziando a scrivere, si focalizzi prima sullo sgrossare lo stile, che ce n'è un gran bisogno. Leggete Carver, Strunk, Novakovic: al lavoro. Marsch.
    La Goldberg si focalizza sul mestiere ingrato. Mi ha colpito il capitolo intero dedicato allo scrivere al ristorante: ma è così, per il mestiere più selvaggio del mondo. Chi scrive narrativa non ha un contratto, non ha un ufficio, non ha orari, a volte non ha ispirazione, spesso deve fare altri lavori per mantenersi (sì, anche Carver), in alcuni casi non ha neanche una fissa dimora. Tutto questo per dire: la definizione dello "scrittore" è una cosa che sfugge regole e schemi. Non perdere tempo su questa parola forse è un buon primo passo per concentrarsi invece sulla qualità della prosa.

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