Dunque, partire mi ha fatto benissimo. Trasferirmi al mare per
così tanto tempo è stata una delle idee migliori che potessi avere.
Sto recuperando le energie che dopo un inverno sostanzialmente
bello perché ricco di emozioni (alcune inspiegabili) ma molto faticoso, avevo
perduto.
Osservare le cose in modo “distaccato” è utile per
approfondirle, analizzarle, capirle e per non averne paura. Per me, che
purtroppo, pur sforzandomi, non sono mai stata molto “zen” (ma oggi corro in
libreria che ho voglia di rileggere un libro di Lao Tze che ho amato molto, e
non solo per il 30 all’esame di filosofia morale… No, no, non lo dico per
tirarmela che l’università mica l’ho finita perché, a pochi esami della fine mi
sono stufata, cazzona che sono), è stato necessario partire. Non partire per
fuggire ma partire per sentirsi. Per capirsi e piacersi. Per ritrovarsi e per
accettarsi senza compromessi.
Trovare il modo per svuotare e liberare la mente “sovraccarica” dona
alla razionalità il potere di supportare l’anima. E la rende più forte. L’unico
modo che io conosca per guardare le cose con “distacco” e per creare lo spazio
necessario per incamerare nella mente (ma anche nel cuore) nuove idee,
costruttive, è il viaggio. Cambiare aria.
“Fermarsi” pur continuando ad
“andare”.
Che, poi, pensandoci, il viaggio mica per forza deve essere
reale. Il viaggio, forse, dovrebbe essere una costante per ognuno di noi perché
è, sempre, crescita e cambiamento.
Il viaggio interiore comporta “movimento” e mutamento anche quando,
apparentemente, ci si ferma. E in una società che va a mille all’ora e in cui
tutto deve rispettare standard e ritmi di velocità assurdi, in una società che
esige gente non pensante perché teme di accartocciarsi miseramente su se stessa…
“viaggiare” (ma anche leggere), è oggi, forse, la più grande forma di libertà
individuale possibile.
Bisogna viaggiare e leggere per essere uomini liberi, liberi di
voler essere individui senza più accontentarsi di essere soltanto numeri.